Manca ormai poco tempo. Dopodomani, domenica, i Greci confluiranno alle urne per votare su quello ampiamente definito dai media come “Greferendum”.
La risposta che dovranno dare è se vogliono accettare le imposizioni europee, rimanendo nell’Europa, o rinunciare a far parte dell’Unione, e non sottostare quindi alle richieste dell’Eurogruppo.
In questo periodo abbiamo sentito i pareri più disparati, a dimostrazione che il concetto espresso qualche settimana fa da Eco (traslitterandolo in maniera più educata: “chiunque attraverso internet o i social media ha la possibilità di farsi ascoltare da un pubblico più o meno vasto”) non è affatto errato.
I social hanno dato modo ai detrattori dell’Unione di definire la possibile uscita della Grecia dall’UE come “estremo atto di democrazia”.
Giornalisti affermati hanno definito il meccanismo di aiuti finanziari europei un “ricatto dei mercati”. Politici di differenti fazioni hanno osannato la dichiarazione di Varoufakis secondo cui il paese mediterraneo non pagherà i debiti che ha contratto con l’FMI; definendola “un atto eroico a difesa della propria nazione”.
Anche io ho una connessione a internet, ed un pubblico più o meno vasto a cui rivolgermi, quindi ho scelto di entrare nell’arena in cui si combatte questa diatriba.
La mia opinione sulla questione Grecia
Non pagare un debito non è democrazia, è insolvenza.
In spagna, nel 1400, un banchiere che non era in grado di assolvere ai propri impegni e restituire i soldi a chi ne aveva diritto veniva definito Abatout. Questo termine significa “senza testa”, poiché il poveretto veniva decapitato sulla piazza degli affari. Il gesto era certamente incivile e barbaro, non è possibile definirlo altrimenti, ma l’intenzione sostanziale era comprensibile: si voleva scongiurare la creazione di una classe di bancari sconsiderati, che usassero soldi altrui in speculazioni e senza preoccuparsi di restituirli, alle scadenze.
Non voglio accusare la Grecia, non credo che i leader greci come Samaras o precedenti abbiano sfruttato gli aiuti internazionali senza discernimento, ritenendo impossibile il collasso che, di fatto, c’è stato.
Penso che nemmeno gli istituti finanziari greci avessero intenzione di far crollare l’intero sistema, a che pro? Il sistema è ciò che permette a tutti gli attori coinvolti nell’economia di proliferare.
Semplicemente, c’è stata troppa leggerezza.
Tranquillità, indifferenza palese dei meccanismi finanziari sottesi ai prestiti concessi, frivola ignoranza di alcuni meccanismi fondamentali dell’economia, ignoranza tra l’altro ampiamente diffusa nel vecchio continente (non proveniva dall’Italia il politico che disse “ho vissuto 60 anni senza sapere cosa fosse lo Spread, non credo cambieranno le cose ora che lo conosco”?).
Ma il danno è fatto.
Ora il debito c’è, ed è enorme. La Grecia ad oggi ha un debito con la cosiddetta troika di 312 miliardi di euro. E le scadenze sono prossime (alcune sono anche state superate), ma i liquidi per saldarle non ci sono. O quantomeno non c’è, da parte del governo greco, l’intenzione di saldare quei debiti.
Per questo il popolo greco è stato chiamato alle urne.
Idee contrastanti sul referendum
Alcuni han definito la scelta di Syriza un gesto di codardia: non sapendo come uscire da un ginepraio che, per almeno una parte, non avevano creato loro, hanno deciso di riversare il peso della decisione sul popolo intero. Altri l’han definito l’unica scelta democraticamente possibile.
Credo che un giudizio su questa scelta sia valutabile in due modi completamente differenti, e fondamentalmente legati al modo di intendere la politica di Tsipras.
La scelta è, insieme, un atto di totale democrazia (non più mera democrazia rappresentativa, ma democrazia effettiva, in cui tutti sono chiamati a votare), e un’enorme inadempienza al proprio ruolo.
Democrazia perché si è scelto di non lasciare la decisione ad un ristretto numero di persone, seppure elette, ma di estenderla a tutti quanti, competenti o meno. Una decisione più idealistica che tecnica, una decisione dettata, profondamente e incontrovertibilmente, dalla vox populi. Nessuno, fuorché coloro che non si recheranno a votare, potrà dire di non essersi sentito rappresentato. Nessuno, compresi coloro che non sono andati a votare, potranno lamentare la decisione presa, ex post.
Inadempienza per lo stesso identico motivo, esaminato con principi totalmente differenti.
Inadempienza perché coloro che hanno lottato (ed ottenuto) il potere politico scelgono di non usarlo proprio quando il paese ha bisogno di una guida decisa, autoritaria, competente. Perché il principio rappresentativo che difetta di effettività permette se non altro scelte veloci e con basi tecniche (si spera) assodate. Perché secoli fa abbiamo derogato il voto per teste, comprendendo come non potesse permettere scelte consce e basate sulle competenze, ed ora torniamo al sistema iniziale non per un’incapacità della maggioranza parlamentare di decidere i numeri per approvare una decisione (Syriza li ha) ma per una volontà ed un coraggio vacante.
Io non posso dire cosa votare. Non vivo in Grecia, non ho idea di come sia vivere, oggi, lì. Posso dire però che il voto deve essere informato. E per informarsi non sempre basta ascoltare le dichiarazioni di politici od opinionisti.
A volte bisogna scavare nei dati, in quelle noiose pile di numeri che troppo spesso noi, cittadini annoiati ma senza tempo da sprecare, così assuefatti ad una democrazia che ci chiede solo un segno di matita su un foglio di carta, lasciamo che altri leggano e riassumano per noi. Ma:
- Senza renderci conto del potere che concediamo ai media.
- Senza renderci conto che un avverbio può stravolgere la percezione che abbiamo di una frase.
- Senza renderci conto che mentre un numero è incontrovertibile, le sue interpretazioni possono essere migliaia, e tutte formalmente corrette.
Così il concetto: “Stiamo cercando di concedere quanto più possibile, senza snaturare i punti fondamentali dell’accordo” può essere percepito, dall’altro lato, come un: “l’accordo è irraggiungibile a causa dell’inamovibilità dell’altra parte su alcuni punti fondamentali”.
Troppo spesso noi, cittadini informatissimi eppure ignoranti, dimentichiamo che qualsiasi trattativa, anche quella di salvataggio di uno stato, è frutto di compromessi. Compromessi che possono essere raggiunti solo col tempo, perché significano rinunce considerevoli da parte dell’uno e dell’altro.
Ed ecco quindi che ci viene facile dedurre, dal tempo delle contrattazioni, la decisione di una o di entrambe le parti interessate di prolungare il più possibile il patteggiamento, pur avendo già l’intenzione di far fallire tutti i buoni propositi di partenza.
Ma solo con i dati si possono esprimere deduzioni corrette e fondate.
Non si possono basare le proprie considerazioni sul sentito dire, sulle affermazioni, già parziali o incorrette, di altri. I dati ci sono, basta volerli cercare.
Cosa votare: SI o NO?
Cari Greci, che domenica perderete 10 minuti (o forse mezz’ora, o tutta la giornata, o non più di 10 secondi) a pensare se per voi è giusto o meno rimanere nell’Europa unita; prima di scegliere considerate:
- Considerate che sì, l’UE vi sta chiedendo di alzare la soglia pensionabile, portandola a 67 anni, o a 62 se si hanno almeno 40 anni di contributi versati.
- Considerate che sì, l’Europa vi chiede di alzare la tassa sul reddito delle società al 28%, e quella sulle imbarcazioni di lusso al 13%.
- Considerate che sì, vi stanno chiedendo di ridurre il vostro salario minimo.
- Considerate che sì, l’UE vuole portare l’iva ordinaria al 23%.
- Considerate però anche la situazione in cui vi trovate: ricordatevi del passato recente, di quelle informazioni annunciate ai telegiornali in tono sommesso, di vergogna e di biasimo nei confronti dei potenti.
Ma ricordatevi alcune cose importanti:
- Ricordate di aver mentito sul rapporto debito/PIL, sia per entrare nell’Europa da cui, forse, presto uscirete, sia dopo.
- Ricordatevi del 2010, quando il vostro debito era talmente elevato che le agenzie di rating hanno definito i vostri titoli di debito “spazzatura”, e solo UE e FMI vi hanno concesso 10 miliardi, necessari a pagare gli stipendi statali e le pensioni.
- Ricordatevi la verità fondamentale: che voi avete contratto un debito.
E rifiutarvi di pagarlo, ora, non è democrazia.
Uscire dall’Euro non è la risposta, perché non è stato l’Euro a mentire sul debito affinché riceveste più finanziamenti, né l’Europa è la causa della crisi mondiale. Ricordate questi assiomi di fondo, prima di votare.
E ricordate il valore della parola data.