La settimana scorsa abbiamo parlato dei paesi che hanno scelto ufficialmente di “uscire” dalla lista nera stilata dall’Ocse dei paesi non collaborativi in ambito fiscale, senza però specificare cosa voglia dire far parte di questa famigerata (e tanto temuta) black list.
La lista dell’Ocse in realtà non comprende solamente i paesi in fascia “nera”, ma anche fasce di colpa più lieve. Ma andiamo con ordine:
Black List
Sono i paesi comunemente conosciuti come paradisi fiscali, che non hanno acconsentito a stringere alcun trattato a livello di comunità internazionale per rendere più chiaro ai paesi esteri quali e quanti capitali stranieri siano depositati presso i loro istituti bancari.
Grey List
Sono paesi indubbiamente più collaborativi dei precedenti, che hanno scelto di firmare alcuni accordi con gli altri stati, pur senza però arrivare ad un numero di patti tale da poter definire il paese “trasparente”. Una nazione può ad esempio scegliere di ratificare accordi per tracciare i capitali dei singoli immessi nel circuito nazionale, ma non per denunciare le cosiddette società off-shore.
White List
Sono i paesi collaborativi. Tendenzialmente un paese può essere inserito in questo elenco quando ratifica almeno 12 accordi internazionali sulla tracciabilità dei capitali.
Accordi e sistema della Black List?
Ovviamente la ratifica di 12 accordi non assicura una completa trasparenza del paese e ovviamente, possono essere inseriti in queste liste solamente quei paesi comunemente definiti paradisi fiscali, che quindi (come abbiamo già visto) si caratterizzano per un livello di tassazione dei capitali estremamente ridotto.
La cosa più interessante di questo sistema di black list è che, essendo stato creato da un organismo internazionale (dove non vige un principio gerarchico di autorità, poiché tutti gli stati sono necessariamente sullo stesso piano e nessun ente è in grado di assurgere a giudice e sovrano degli stessi (essendo lo stato la forma massima d’autorità concepibile dal nostro sistema), non vi sono vere misure coercitive a sostegno della black list.
In altre parole, non ci sono vere e proprie punizioni codificate in cui può incorrere un paradiso fiscale che sceglie di non collaborare.
Ovviamente, gli stati in quanto singoli potrebbe decidere di applicare delle contromisure unilaterali (cosa che, nella pratica, è avvenuto), ma ciò non ha nulla a che vedere con la struttura definita dall’Ocse.
Viene spesso detto che il sistema internazionale è un sistema in grado di autoregolarsi, e questa ne è una palese dimostrazione.
Le scelte dei singoli stati si sono infatti allineate in maniera così perfetta da scoraggiare tutti i paradisi fiscali dal continuare sulla loro scelta di non cooperazione, portando quindi l’iniziativa Ocse al successo.