Torniamo a parlare delle economie statali europee; oggi in particolare affronteremo il caso dell’isola più famosa del vecchio continente: la Gran Bretagna.
In realtà, dire che esamineremo l’economia della Gran Bretagna sarebbe un errore grossolano: il Regno Unito comprende anche l’Irlanda del Nord, che è al quarto posto tra le grandezze delle economie regionali dello stato. Al primo posto si colloca l’Inghilterra, seguita da Scozia e Galles.
Il Regno Unito si configura come la sesta economia mondiale; ancor oggi, nonostante la crisi mondiale, la sterlina viene considerata un investimento relativamente sicuro dal punto di vista monetario.
Ecco gli argomenti che tratteremo:
L’economia Inglese
Il settore primario
Se prima della Rivoluzione industriale il paese aveva una forte tradizione agricola e commerciale, con il raffinarsi delle tecnologie lo stato ha scelto di abbandonare in modo sensibile queste tradizioni, preferendo dedicarsi ad industrie pesanti.
Oggi solo il 2% della popolazione si occupa di agricoltura, anche se gli strumenti avanzati che vengono utilizzati garantiscono rese molto elevate. Nonostante ciò il paese è lontano dall’autonomia alimentare: riesce a produrre poco meno della metà del suo fabbisogno, per il resto è dipendente dalle importazioni.
Le coltivazioni principali sono orzo, avena, frumento, patate, barbabietole da zucchero, ortaggi. Da queste coltivazioni derivano sensibili produzioni di birra e whisky.
Molto più esteso è l’allevamento, a cui si dedica più del 45% della superficie del paese; in particolare di ovini (di cui il Regno Unito ha il primato produttivo) e bovini. Modesti sono gli allevamenti di suini.
La pesca vede il Regno Unito tra i principali produttori europei; particolarmente sviluppata è quella di merluzzi e aringhe. Nonostante ciò, il paese è lontano dal soddisfare il fabbisogno interno.
Il settore secondario
Come abbiamo già detto, la Rivoluzione Industriale ha condizionato pesantemente questo stato.
Storicamente, i primi settori in cui il Regno Unito riuscì a brillare furono quello estrattivo, quello metallurgico (soprattutto per quanto riguarda la produzione di acciaio) e quello legato alla produzione di fibre tessili.
Ad oggi rimane molto sviluppata l’industria metallurgica, anche se comunque non pesa per più di un sesto nella creazione del PIL nazionale.
Fino a qualche anno fa l’industria automobilistica era il cuore del settore secondario; tuttavia la sua importanza è diminuita considerevolmente a causa del crollo del MG Rover Group. La maggior parte del settore è stata poi ceduta a mani estere.
Sviluppata è l’industria degli aeromobili e quella chimico/farmaceutica (il Regno Unito possiede infatti GlaxoSmithKline e AstraZeneca, la seconda e la sesta ditta farmaceutica più grandi d’Europa).
Occupazione/Disoccupazione
Analizziamo ora il tasso di disoccupazione della nazione.
Certo, se confrontato con il tasso italiano (pari al 12.6%), o quello ben più drammatico della Grecia (superiore al 25%), il tasso di disoccupazione del Regno Unito pare ben poca cosa: esso è infatti quasi tornato ai livelli pre-crisi (nel 2008 era pari a 5.0%); ed anche durante la crisi non ha mai raggiunto la soglia del 10%.
Tuttavia, anche se la percentuale degli occupati è tornata a salire, la nazione ha avuto ben altri problemi: secondo un articolo di agosto 2014 del Sole24Ore i salari si trovavano infatti ai minimi storici, con scarse previsioni di crescita per l’anno successivo.
I piani statali per l’economia
Come abbiamo già detto, il basso livello salariale della nazione è un problema che va affrontato.
Il costo della vita, soprattutto nella City di Londra, che con il suo hinterland raccoglie la stragrande maggioranza della popolazione, è ingestibile rispetto a degli stipendi che non riescono a tenere il passo con l’inflazione: anche se lo Stato ha fatto del suo meglio per gestire la criticità, il pericolo ancora non è scongiurato.
Altrettanto delicati sono i rapporti tra il Governo e la fascia indipendentista della popolazione, che vuole portare la Gran Bretagna fuori dall’Europa. Il primo referendum in questo senso ha effettivamente dato esito negativo, ma non per questo sono da escludere future problematiche.
alessandro
e il settore terziario?